Gaya Geopolitica

Gay Marriage Map

Alcuni giorni fa ho dovuto compilare un tipico modulo anagrafico, di quelli con nome, cognome, indirizzo ecc. ecc.
Una delle caselle mi chiedeva lo stato civile e a quel punto mi sono bloccato… visto che in Italia sono celibe ma in Inghilterra sono sposato con Cristian, devo fare una croce tra le due caselle?

Ovviamente ho segnato celibe ma l’ho vissuto come una forzatura. Mi sono reso conto dell’assurdità di questo paese, di come ci sia la ferma volontà di rimanere bloccati nel medioevo…
Non mi era mai capitato di sentire così forte il peso dell’omofobia legalizzata, del fatto che ci sia un’entità in grado di dirmi ufficialmente: “sei un cittadino di serie B”.

Negli anni di volontariato al Telefono Amico Gay ho ascoltato la disperazione di chi vive nei piccoli centri abitati, di chi non può essere se stesso con la famiglia o gli amici, di chi ancora non capisce se stesso e non ha punti di riferimento.
Nella mia vita ho avuto molte fortune: amici e famiglia mi appoggiano, vivo serenamente la mia relazione dentro e fuori casa, abito in una grande città, Milano, ma alla fine non basta: posso avere il riconoscimento del mio essere gay solo a livello personale e non generale.

Sposarmi a Londra è stato molto emozionante, non solo perché ha sancito il mio amore per Cristian ma anche perché è stato un momento di grande normalità: parenti e amici uniti per festeggiare il rapporto speciale che unisce due persone che si vogliono bene. Il fatto che fossimo due uomini ha semplicemente dato quel qualcosa in più alla giornata: non perché fosse strano o sbagliato ma semplicemente perché era la prima volta per tutti.

Tornati in Italia ho ricevuto congratulazioni da molte parti, anche da chi non sapeva nemmeno che fossi gay o da amici di amici che non ho mai conosciuto. Ma ancora una volta parliamo di un circolo di contatti personali, anche se di un circolo allargato.
Non mi aspettavo la banda che suonava al nostro atterraggio o le frecce tricolori che si avvitavano nel cielo con una fumata di colore rainbow, ma rendersi conto di essere trasparenti per tutto ciò che è pubblico fa soffrire e se non si hanno le spalle abbastanza larghe può far male.

Per non fermarsi solo alle cose negative, penso che il nostro matrimonio stia funzionando come un contagio: chi ha partecipato lo ha raccontato ai propri conoscenti formando piccole sacche di accettazione lungo il nostro paese.
Ci stiamo anche informando su come fare a chiedere il riconoscimento della nostra unione attraverso un’azione legale. La speranza è che il nostro gesto possa aiutare tanti altri omosessuali.

Spesso mi lamento di come molte persone partecipino al Pride, ma pochissime agli altri momenti di lotta. Il problema è che in Italia si può essere felicemente gay se ci si accontenta, se non si è troppo visibili: “Non ho niente contro i gay, basta che non osteggino; possono fare quello che vogliono a casa loro ma non fuori”.
Essere gay al 100% non è ancora possibile e siccome tocca elementi più adulti – come la vita assieme, i figli, la pensione… – sono meno le persone che li sentono come una necessità impellente.

Penso che sia come paese che come movimento gay dobbiamo fare ancora molta strada. Stiamo parlando di dignità e di non discriminazione oltre che di stop all’omofobia in tutte le sue forme. Passo dopo passo dobbiamo riuscire ad arrivare alla meta, dobbiamo farlo con le nostre forze e restando uniti.

Comments

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.