L’ottavo film del Festival MIX che ho visto si intitolava The Stranger in Us ed ecco un riassunto della trama:
Anthony è arrivato a San Francisco seguendo le ragioni del cuore, per tentare invano di ricomporre una tormentata relazione d’amore. Isolato economicamente, ricattato affettivamente, deluso e stanco si lancia a capofitto nel vortice disfunctional, ma liberatorio della vita notturna. Pusher, marchette e delinquentelli, ovvero lo scenario solito della criminal life. Unica eccezione l’improvvisa tenera amicizia con Gavin, giovane ribelle senza fissa dimora, che tanto ricorda i ragazzi di strada di Gus Van Sant. Girato nello stile del cinema vérité, The Stranger in Us esplora i territori inconsueti della solitudine, della disperata ricerca d’amore, dell’improvvisa scoperta di quello sconosciuto che nascondiamo a noi stessi. Noi stessi.
Anche se non ai livelli di altri film del Festival questo lungometraggio mi è piaciuto. La storia è solida, la regia intelligente e gli interpreti capaci.
Il cuore del film è la descrizione di una serie di personaggi che raccontano molto bene la vita disfunzionale di alcune persone del giorno d’oggi. C’è il fidanzato oppressivo e a tratti violento, sempre pronto ad attaccare per poi fare la vittima; c’è il giovane minorenne che si prostituisce e ancora non sa se è veramente uno spirito libero oppure no; l’amica che vive in un’altra città o la coinquilina che nel mix di eventi si perdono per strada; come contorno ci sono altri abitanti della città, che fugacemente mostrano il loro modo di vivere.
In mezzo a tutto questo c’é Anthony che con un fare un po’ naive naviga in mezzo a queste strade e cerca di trovare la propria identità sballottato da tutti gli stimoli che lo circondano. Anthony è il centro della narrazione, la finestra attraverso cui vediamo il mondo, è un personaggio nel quale è facile immedesimarsi perché non ancora compiuto: in questa fase di trasformazione potrebbe diventare simile ad ognuno di noi e in una delle sue sfaccettature vediamo il nostro riflesso.
Il film mi ha ricordato il libro Tales of the City di Armistead Maupin proprio per il numero di personaggi che, chi più chi meno, lascia la traccia lungo la storia.
Il racconto non è lineare ma salta avanti e indietro nella linea temporale. Anche se inizialmente rende difficile seguire la trama, alla fine questa scelta permette di raggruppare gli avvenimenti in modo da dargli un valore emozionale, piuttosto che cronologico.
Sicuramente questo The Stranger in Us è un ottimo film, soprattutto se pensiamo che è l’opera prima del regista Scott Boswell.