Dopo una settimana all’altro capo del mondo eccomi tornato a casa! Il lavoro mi ha portato a Hong Kong ed ecco il resoconto di come è andata la trasferta.
Sono partito domenica scorsa da Malpensa con un volo diretto che partiva all’una e mezza del pomeriggio. Cristian mi ha accompagnato a Bovisa dove col il pratico (e costoso) Malpensa Express sono arrivato in aeroporto.
Avevo già fatto il check-in online scegliendo il mio classico posto sul corridoio e senza troppi problemi ho depositati i bagagli, fatto i controlli di sicurezza e di passaporto e mi sono messo ad aspettare l’imbarco. Hanno cominciato a chiamare dalle file in fondo all’aereo (per non creare traffico una volta entrati) e, stranamente, sembrava che tutti si mettessero in coda in modo ordinato… strano! In realtà io ero tra i primi del secondo blocco di chiamata e la maggior parte dei posti vicino al mio erano già occupati: erano sì in coda ordinata, ma se ne erano fregati dei due blocchi di ingresso!
Il volo di 11 ore è passato senza niente da segnalare. L’aereo è molto comodo e si riesce anche a dormire con un po’ di comodità. Per passare il tempo ho visto due film: Hugo (così e così) e il film dei Muppet (scioccone ma divertentissimo).
Arrivato a destinazione ho passato velocemente l’immigrazione (ma con tutte le pagine del passaporto, dovevano mettere il timbro appiccicato al visto per gli Stati Uniti???), ritirato il bagaglio e poi ho fatto un salto veloce a cambiare un po’ di soldi e a prendere il biglietto del treno per arrivare in città.
Tutto funziona perfettamente. Le indicazioni sono chiare e il treno ha un diagramma delle varie stazioni con lucine LED che ti dicono esattamente quanta strada manca. Dopo una mezzora ero a Hong Kong Station dove ho preso un taxi per arrivare in albergo.
I tassisti raramente parlano inglese, avevo quindi un foglio con l’indirizzo in tre lingue più la mappa. Ciononostante è stata durissima! Giunti alla strada giusta non riusciva a trovare il numero civico e pensava che non esistesse. Per accertarsi dell’indirizzo mi chiedeva il nome dell’albergo che però non capiva quando glielo dicevo. La cosa peggiore era che in tutto questo provava a fare conversazione in una lingua tutta sua, che se fosse stato in cantonese avrei capito con più facilità!
La camera d’albergo era molto bella e comoda. In particolare la doccia sembrava uscita da un film porno: un sacco di spazio e doppio bocchettone di cui uno a effetto pioggia. Mi ha lasciato un po’ perplesso un cartello attaccato al vetro della doccia. In pratica diceva che per fare la doccia bisognava chiudere la porta della doccia, quella del bagno e accendere l’aria condizionata altrimenti sarebbe potuto scattare l’allarme anti incendio… panico! L’altra cosa da capire era se le finestre che davano sull’esterno impedissero di vedere da fuori a dentro. Io ero al 18° piano ma intorno avevo altri grattacieli e quando uscivo dalla doccia in pratica ero in vetrina!
Come molti palazzi di Hong Kong quello del nostro albergo non era esclusivamente adibito a quello scopo. Verso il 3° piano c’era una specie di chiesa, mentre agli ultimi piani dei locali un po’ trasgressivi. Questa eterogeneità è una cosa comune, ci sono addirittura dei ristorante al 2° o 3° piano dei palazzi e per raggiungerli prendi semplicemente l’ascensore.
Dopo la doccia esibizionista ho incontrato il mio collega e siamo andati a prendere la mia Octopus Card. In pratica è una tessera come la Oyster Card londinese (tutte cose di mare… mah!) che carichi con dei soldi e la puoi utilizzare per pagare i mezzi e tante altre cose. Nel tragitto di andata e ritorno dal cliente ho potuto iniziare a farmi un’idea dello stile di Hong Kong. Potrei definirla una Londra in salsa asiatica. Ci sono autobus (e anche tram) a due piani, i semafori sono gli stessi della capitale britannica e dà quella stessa sensazioni di confusione ordinata: la planimetria non è studiata a tavolino come quella di Parigi ma si ferma poco prima di diventare caotica. Anche il traffico colpisce (anche per la guida a destra) ma non risulta indisciplinato.
Dopo l’intera giornata di lavoro siamo usciti per andare a cena. Il fuso orario mi stava massacrando, ma dovevo arrivare a fine giornata per prendere il ritmo giusto. Abbiamo deciso di mangiare tailandese e siamo andati in un ristorantino vicino all’albergo. La zona si chiama Wan Chai ed è quella dove i giovani ragazzi vanno per cercare incontri piccanti. Lungo la strada ci sono molti locali notturni con delle ragazzine all’ingresso e una signora più anziana che ti trascina dentro: è una misto tra Pigalle e SOHO.
Ne approfitto ora per raccontarvi cosa ho mangiato in questa settimana. Al tailandese ho particolarmente apprezzato dei bocconcini di pollo cotti arrotolati dentro una foglia. Gli altri giorni ho mangiato giapponese, libanese, indiano e – finalmente – cinese. In tutti i casi sono stato benissimo, soprattutto il giapponese che merita un discorso a parte.
Il ristorante si chiama Tokyo Joe ed è nella zona di Lan Kwai Fong. Questa zona è vicina a Central dove si trovano splendidi palazzi e negozi di moda italiana. Lan Kwai Fong è formata da strade che si arrampicano lungo una dolce collina. Nei fine settimana le strade sono esclusivamente pedonali e sono punteggiate da tavolini con persone che mangiano. E’ molto difficile trovare posto da Tokyo Joe ma noi siamo riusciti grazie ad un aggancio!
Appena seduti hanno cominciato a portarci da mangiare: chi aveva fatto la prenotazione per noi aveva anche scelto le pietanze. Tutto il giapponese che ho mangiato in Italia non conta: quello era un altro mondo! Tutte le portate erano ottime e diverse tra loro, la migliore era una sorta di tar tar di salmone con all’interno dell’insalata croccante… una meraviglia! In questo locale c’é anche l’abitudine di offrire da bere allo chef e ai camerieri, che pian piano sono sempre più ubriachi!!!
Più o meno in tutti i ristoranti si potevano incontrare europei tra i 40 e i 50 anni accompagnati da giovanissime ragazze asiatiche che coccolavano questi uomini o gli ballavano attorno in modo seducente. Sembra che sia una cosa piuttosto comune, come spesso capita siamo noi europei dare il cattivo esempio e far arricchire i giri di prostituzione.
Lasciando da parte il cibo, bisogna parlare delle temperature. In questa parte dell’anno si sta piuttosto bene. Al massimo abbiamo toccato i 27 gradi e la sera può essere necessario un maglioncino. Il problema è l’aria condizionata nei posti al chiuso. Anche in ufficio continuavano a regolarla a 19 gradi e io sono morto congelato! Avevo la giacca per stare al chiuso, anziché averla per stare all’aperto!
Sembra che siano convinti che se l’aria è fredda sia anche pulita. Come se per avere l’aria di alta montagna bastasse prendere quella di città e raffreddarla! Da questo punto di vista sono un po’ fuori di testa… anche perché c’é un vero e proprio vento gelido che esce dai bocchettoni dell’impianto di condizionamento!
Per cercare di sconfiggere la regina dei ghiacci di Narnia a metà mattina andavo alla caffetteria del parco a prendere un tè da portar via e usare per scaldare le mani e lo stomaco.
So che la Regina Elisabetta non approverebbe ma ho dovuto prendere l’Earl Grey in una tazza di carta con cappuccio di plastica attraverso il quale bere… lo so! Non era fine ceramica! Non era neanche una tazzona all’americana! Era una cosa in stile take away! Betty, potrai mai perdonarmi???
Nella caffetteria facevano bella mostra di sé tre torte belle ma forse esagerate. Una era a forma di scimmietta, una di panda e la terza di coniglietto pasquale. Io sospetto che fossero lì dall’apertura del parco 35 anni fa… La mia non è cattiveria, ma è una constatazione legata al fatto che questi cinesi non riescono ad aver profonda cura nel servizio. Al ristorante si dimenticano completamente di te, i camerieri si aggirano senza uno schema di suddivisione dei tavoli ma con l’onnipresente auricolare dal quale ricevono gli ordini. Basta fare una domanda fuori dalle regole che li mandi subito in crisi, e non è un caso che la maggior parte dei dirigenti delle loro società arrivino da altri paese (soprattutto l’Europa): non hanno l’abitudine alla flessibilità, si sentono tranquilli solo con regole ben chiare e compiti semplici e diretti.
Venerdì sera è arrivato il momento di pensare al viaggio di ritorno: il mio aereo partiva il sabato mattina all’una di notte. Come mia abitudine mi sono mosso con un po’ di anticipo. Ho cercato di far capire al tassista che dovevo andare a Hong Kong Station ma dalla parte del treno per l’aeroporto. Alla fine ho rinunciato, temevo che mi avrebbe portato in taxi fino in Italia! Miracolosamente sono sceso dalla parte giusta e dopo qualche minuto ero già sul treno.
Visto con più calma lo scalo di Hong Kong è veramente molto bello. Ho fatto un giro per negozi, preso qualche regalino e poi mi sono incamminato verso il gate. Anche in questo caso al momento dell’imbarco hanno cominciato dalle ultime file e gli italiani si sono subito fatti vedere: hanno creato un accrocchio di coda dalla forma di una salsiccia ubriaca. Ad un certo punto una hostess ha costretto tutti a mettersi in fila per uno causando non poche lamentele.
Il viaggio di ritorno è durato quasi 14 ore (aiuto!) e anche questa volta mi sono guardato due file: Midnight in Paris (carino ma poteva applicarsi di più) e Tin Tin (divertente a parte la fine che si perde un po’). Fare da Malpensa a casa è stata una seconda avventura… quanto è difficile tornare in un paese come il nostro!
A questo punto non mi resta che aspettare Giugno per il secondo viaggio a Hong Kong. Questa volta avrò i weekend per visitare per bene la città e godermela in maniera più approfondita!