Ieri sera sono uscito di corsa dall’ufficio per correre al cinema a vedere The Hobbit: An Unexpected Journey, il nuovo film di Peter Jackson ambientato nella Terra di Mezzo. Per chi non lo sapesse si tratta di una nuova trilogia adattata dal libro The Hobbit sempre di J.R.R. Tolkien che funge da sequel al Signore degli Anelli.
Questo film ha avuto una gestazione piuttosto complicata che ha portato a quasi due anni di ritardo sull’inizio delle riprese. Peter Jackson inizialmente non voleva dirigerlo, preferendo il collega Guillermo del Toro ma a forza di tira e molla si è tornati al team creativo della prima trilogia e alla riconferma di location e attori presenti in entrambe le storie.
Dal punto di vista tecnologico il regista ha deciso di girare il film in 3D e a 48 frame per secondo (il doppio rispetto al solito). Quest’ultima scelta ha fatto partire una polemica – a mio avviso sterile – che avrebbe paragonato il realismo della pellicola a quello della televisione (che va a 50 fps) accusando Peter Jackson di aver girato un film troppo simile alle sitcom anni ’90. Rileggete pure la frase per capirla meglio, fatto? Bene! Sinceramente trovo tutto questo discorso una stupidata. Quello che posso dire è che la maggiore frequenza delle immagini si nota nelle scene di battaglia molto concitate ed è un aspetto positivo e non negativo. Anche il 3D – solitamente sfarfallante – ne trae giovamento mentre nel resto delle scene si nota appena la differenza. Provate a fare qualche test su questo sito per capire il vantaggio di una maggiore frequenza.
Passiamo ora agli aspetti più legati al film in se: la storia, la sceneggiatura e le emozioni. La prima cosa che colpisce è l’atmosfera generale del film: molto meno epica e più giocosa. Questo cambio arriva direttamente dal libro di Tolkien e fa solo un po’ impressione perché arriva dopo la trilogia del Signore degli Anelli. Gli attori sono perfettamente allineati a questo stile e anche lo stesso Gandalf sta perfettamente al gioco, un po’ come nella prima scena della Compagnia dell’Anello.
Il gruppo di nani è fantastico, con il loro misto di confusione e profondità quando pensano al passato della loro gente. Martin Freeman è un perfetto Bilbo Baggins, riuscendo a rendere sia la parte comica che la crescita interiore del personaggio. Un discorso più approfondito va fatto per Richard Armitage nel ruolo di Thorin Oakenshield. Ho avuto l’impressione che la scelta di marketing fosse quella di spingere questo attore come nuovo ruvido bonone come fecero per Viggo Mortensen. Effettivamente ha uno sguardo magnetico e la barba lo rende un po’ orsetto, ma viene un po’ da ridere quando lo vedi accanto a uomini o elfi: essendo un nano (anche se un nano piuttosto alto) è comunque un tappetto e nella comparazione perde qualche punto.
La prima parte del film è un po’ troppo lenta. E’ necessario presentare i personaggi ma, su un totale di due ore e quaranta, ci vuole troppo ad arrivare all’azione. Quando però iniziano i combattimenti il film cambia stile e cominci davvero ad appassionarti alla storia e a chi ne fa parte. Splendida poi la scena tra Bilbo e Gollum, un lungo dialogo reso perfettamente!
Ovviamente ci sono molti riferimenti alla prima trilogia, tante piccole chicche che aiutano a comprendere i primi tre film. Peter Jackson ha addirittura scelto di mostrare una scena che si svolge subito prima l’inizio della Compagnia dell’Anello, con Frodo che saluta Bilbo per andare incontro a Gandalf.
Questo è solo il primo dei tre film, speriamo che reggano nel tenere viva la tensione per altre due parti!
Vagando alla ricerca di video per questo post sono incappato in un piccolo capolavoro: il trailer onesto della prima trilogia. In pratica è un trailer che racconta in modo canzonatorio il vero contenuto di un film. Il punto in cui presentano gli attori è un capolavoro!!!