Qualche tempo fa ho letto un libro faticoso da digerire ma molto interessante. Più che un libro lo definirei un saggio ed infatti è scritto da Jane Ward una docente di Gender and Sexuality Studies presso la University of California Riverside. Il libro di intitola Not Gay: Sex between Straight White Men.
Questo un breve riassunto dell’argomento di cui tratta l’autrice:
A straight white girl can kiss a girl, like it, and still call herself straight—her boyfriend may even encourage her. But can straight white guys experience the same easy sexual fluidity, or would kissing a guy just mean that they are really gay? Not Gay thrusts deep into a world where straight guy-on-guy action is not a myth but a reality: there’s fraternity and military hazing rituals, where new recruits are made to grab each other’s penises and stick fingers up their fellow members’ anuses; online personal ads, where straight men seek other straight men to masturbate with; and, last but not least, the long and clandestine history of straight men frequenting public restrooms for sexual encounters with other men. For Jane Ward, these sexual practices reveal a unique social space where straight white men can—and do—have sex with other straight white men; in fact, she argues, to do so reaffirms rather than challenges their gender and racial identity.
Ward illustrates that sex between straight white men allows them to leverage whiteness and masculinity to authenticate their heterosexuality in the context of sex with men. By understanding their same-sex sexual practice as meaningless, accidental, or even necessary, straight white men can perform homosexual contact in heterosexual ways. These sex acts are not slippages into a queer way of being or expressions of a desired but unarticulated gay identity. Instead, Ward argues, they reveal the fluidity and complexity that characterizes all human sexual desire. In the end, Ward’s analysis offers a new way to think about heterosexuality—not as the opposite or absence of homosexuality, but as its own unique mode of engaging in homosexual sex, a mode characterized by pretense, dis-identification and racial and heterosexual privilege. Daring, insightful, and brimming with wit, Not Gay is a fascinating new take on the complexities of heterosexuality in the modern era.
Prima di procedere mi premetterei un personale disclaimer: non sono un accademico o una persona particolarmente erudita su Gender and Sexuality Studies. Il mio approccio verso questo libro è quindi molto superficiale nel senso che non sono stato in grado di cogliere tutti i rimandi ad altre teorie e pubblicazioni. Ciononostante credo di aver colto l’essenza dell’argomentazione ed è di questo che parlerò in questo post.
L’autrice ha preso in considerazione la sessualità di uomini eterosessuali bianchi. Non lo ha fatto per discriminazione verso le persone di colore ma perché in quest’ultimo caso ci sono meno pubblicazioni e il background culturale è così diverso da poter accomunare l’esperienza psicologica solo in parte.
Riassumendo molto potremmo dire che l’autrice suggerisce che comportamenti che definiremmo omosessuali sono comuni – se non addirittura normali – tra persone che definiremmo eterosessuali. Non stiamo parlando di situazioni in cui una persona omosessuale non si è ancora accettata e vive una vita eterosessuale con pulsioni gay. Parliamo di casi in cui uomini eterosessuali cercano di proposito rapporti sessuali con altri uomini eterosessuali.
Già questa prima frase ci mette in difficoltà e il problema sono proprio le parole che usiamo per definire le preferenze sessuali delle persone. Come possiamo usare il termine eterosessuale per una persona che cerca di proposito rapporti con altri uomini? Dovremmo quindi parlare di bisessualismo?
In realtà è un problema strettamente lessicale legato alla nostra evoluzione culturale. I termini eterosessuale e omosessuale – con la concezione moderna – sono stati inventati nell’epoca vittoriana (fine ‘800). Prima di allora non si sentiva la necessità di definire così strettamente i comportamenti sessuali delle persone. Molti dei problemi che abbiamo oggi nel descrivere il comportamente sessuale è proprio legato al fatto che ci appoggiamo a termini nati per descrivere una visione del mondo puritana e parziale.
E’ affascinante quanto l’essere umano possa complicarsi la vita. Quanta discriminazione e fatica nasca dal desiderio di dimostrare la propria ragione quando ragione non la si ha! Questo approccio – completamente non scientifico – è una piaga che continuiamo a portarci dietro e ci fa fare il doppio della fatica culturale. Prima di tutto si cerca di convincere tutti che le cosa vadano in un modo (questa è l’eterosessualità e questa è l’omosessualità) e poi qualcun altro deve fare ancora più fatica per dimostrare che l’idea precedente era basata su fondamenta bigotte o comunque sbagliate.
Con un punto di partenza come questo la strada che abbiamo davanti non può che essere in salita. Provo a chiarire ancora meglio questa fondamentale argomentazione con un esempio che a prima vista potrebbe sembrare scollegato.
Chiunque abbia studiato la lingua inglese sa che uno degli aspetti più complessi è la pronuncia. Sembra essere sempre diversa e quello che ci dice il buonsenso è sempre sbagliato. Com’é possibile? Da un punto di vista della storia dell’idioma questa condizione è stata causata da un allontanamento tra l’inglese scritto e quello parlato. La scrittura è rimasta ferma mentre la pronuncia si è evoluta. In pratica le regole di scrittura e di pronuncia sono su due binari paralleli e non si reincontreranno più.
Moltissimo tempo fa qualcuno ha provato a redarre un dizionario di pronuncia inglese ed ha fallito miseramente. Come mai? Perché l’approccio non teneva conto della realtà dei fatti. In pratica l’autore aveva valutato statisticamente quale fosse la pronuncia corretta di ogni lettera e dei vari dittonghi per poi procedere ad una lunghissima lista di casi particolari ed eccezioni. E’ come dire che l’albero più comune sulla terra è il pino per poi procedere a descrivere tutte le altre specie come differenze e eccezioni a partire dal pino. Concorderete con me che l’approccio è assolutamente folle e porta ad un risultato finale di difficile utilizzo. E’ folle perché non è che il pino è l’albero più comune perché è una specie fondamentale e tutte le altre derivano da questo super albero padre. E’ più comune perché evolutivamente avvantaggiato, tutto lì.
Dopo questo tentativo non andato a buon fine gli autori di dizionari di pronuncia inglese hanno preso una strada diversa. Ogni possibile pronuncia delle varie lettere e dittonghi veniva elencata e definita autonomamente. In pratica invece di avere una pronuncia stardard e tante eccezioni ora si definiscono tante pronunce standard e le loro regole.
Allo stesso modo possiamo parlare di eterosessualità e della sua definizione parziale. L’autrice di questo libro deve prendere il comportamento reale di una persona eterosessuale e raccontarla con definizioni non adatte. Dire che una persona eterosessuale ha normalmente comportamenti omosessuali è come dire che l’acero è come il pino ma ha normalmente una forma diversa. La realtà è che la definizione di eterosessualità dovrebbe già comprendere i comportamenti naturali osservati. Di conseguenza un uomo che ha rapporti sessuali sia con donne che con uomini è – semplicemente – un uomo eterosessuale.
Lo so, la cosa può risultare un po’ strana ma in realtà è molto più semplice del previsto. Una possibile critica a questo approccio è che in pratica tutte le persone sono bisessuali. Ecco che si rende necessario aggiungere un elemento fondamentale. Quello che conta nella categorizzazione (passatemi il termine) degli orientamenti sessuali è l’approccio all’atto sessuale e non l’atto in se stesso.
Un uomo eterosessuale avrà rapporti sessuali con donne per appagamento fisico, coinvolgimento emotivo (in coppia) o per procreare. Lo stesso uomo potrà avere rapporti sessuali con uomini per appagamento fisico ma sicuramente non per coinvolgimento emotivo (in coppia). L’autrice ci racconta anche che il sesso tra uomini eterosessuali è spesso un modo per dimostrare la propria eterosessualità (tra poco qualche dettaglio in più) o per rafforzare un legame tipico da branco (come tra soldati, marines, ecc. ecc.).
Com’è possibile dimostrare la propria eterosessualità avendo un rapporto sessuale omosessuale? Prima di tutto lasciamo da parte le definizioni vittoriane e poi prediamo in considerazione questo esempio: io uomo etero posso fare sesso con un altro uomo senza alcun coinvolgimento mentale. Quello che cerco è solo appagamento fisico e il fatto stesso che riesca a portare a termine il rapporto senza far scattare alcuna campanella gay nel mio atteggiamento è una prova che sono un vero uomo etero!
Per quanto possa sembrare macchinoso è un ragionamento che ci riporta a quanto ho scritto prima. Quello che conta nel definire una persona come eterosessuale o omosessuale non è il sesso delle persone con cui ha rapporti sessuali bensì l’approccio al rapporto sessuale stesso.
Proviamo a pensare alla società classica greca. Alcuni uomini che definiremmo eterosessuali avevano rapporti sessuali con giovani ragazzi e rapporti sessuali con donne. Questa era la loro definizione naturale di eterosessualità. Significa che gli antichi greci fossero tutti bisessuali per obbligo culturale? No, significa che il concetto di eterosessualità era definito così e sanciva in modo preciso quale fosse l’approccio mentale verso il sesso con uomini e donne.
Questa ipotetica apertura mentale non proteggeva dalle discriminazioni così come non lo fa oggi. La realtà allora e oggigiorno è che si discrimina non in relazioni alla persona con cui si hanno rapporti sessuali (uomini o donne) ma l’approccio verso il rapporto stesso. In questo calderone abbiamo anche l’assurda accettazione dell’uomo che domina sessualmente un altro uomo ma la ripugnanza verso l’uomo che viene dominato da un altro uomo.
A questo punto ci dobbiamo chiedere come mai si senta così poco parlare di uomini eterosessuali che hanno rapporti con altri uomini. Secondo me ci sono due aspetti da prendere in considerazione. Prima di tutto il peso del giudizio della nostra società verso comportamenti ritenuti omosessuali. Etero che lo fanno non lo dicono per paura di essere tacciati come gay. A questo però si aggiunge che questi rapporti tra uomini non vengono concepiti come omosessuali da chi li compie. Se si chiedesse ad un uomo eterosessuale se ha avuto rapporti con altri uomini lui potrebbe tranquillamente rispondere che non ha mai avuto rapporti omosessuali con altri uomini ma che ha avuto rapporto eterosessuali con altri uomini.
Quindi da una parte si tace per paura di essere accusati di essere gay (quando non lo si è) e dall’altra si tace perché non ci si rende neanche conto di aver fatto qualcosa che merita di essere discussa in quando comportamento anormale.
Per concludere questa lunga argomentazione riporto alcuni passaggi interessanti che coprono alcuni argomenti che ho trattato oppure possono essere spunto di ragionamento.
When straight white men approach homosexual sex in the “right” way—when they make a show of enduring it, imposing it, and repudiating it—doing so functions to bolster not only their heterosexuality, but also their masculinity and whiteness.
When straight-identified men have sex with men, the culture waits in anticipation for them to admit that they are gay. […] Men must manage their sexual fluidity within the context of a culture that they know will immediately equate male homosexual behaviour with gay subjectivity.
The amount of phychic and cultural labor expended to produce and enforce heterosexual identification and procreative sexuality suggests that heterosexuality, as we know it, is hardly an automatic human effect.
From both psychoanalytic and social constructionist perspectives, the hetero/homo binary is not the essential order of things, but the product of cultural norms and political-economic imperatives.
Because homosexual attachments are always present within the psychic structure of heterosexuality, boys and men, rather than mourning “the homosexuality that could not be,” arguably work out this loss via ongoing acts of homophobic repudiation, wherein they locate “the homosexual” outside of themselves and go to great and performative lengths to reject people and things associated with it.
Most of us have been required to inhabit heterosexuality from early childhood, even if we’ve never engaged in heterosexual sex.
People have long engaged in opposite-sex and same-sex sexual activity, of course, but the sense that these sexual behaviors constitute and identity or personage is a quite modern idea.
Mirroring the norms dictating male interaction in restrooms more generally, Humphreys’s study revealed that sexual encounters between men in public bathrooms were impersonal, emotionless, and often silent. Typically men’s bodies did not come into any contact beyond the contact of mouth and penis. Encounters were anonymous, and carried no across-the-board presumption that participants were gay or lived gay lives. While gay bars were certainly available to men in the city in which Humphreys undertook his research, tearooms operated as an important alternative—a place to make homosexual contact that was not gay.
Gays are homosexual to their core and would be gay even if they ejaculated in a forest and no other gays were there to hear them make a sound.
Eccoci infine alla conclusione di questo post. Il libro è interessante ma di difficile approccio e ha certamente più livelli di lettura. Attenzione che non si tratta di un libro di divulgazione ma di vero e proprio saggio. Detto questo se siete interessati buona lettura!