
Ieri sera ho realizzato un piccolo sogno: vedere Jesus Christ Supestar in una produzione inglese. Si tratta dello spettacolo prodotto nella scorsa stagione dall’Open Air Theatre e ospitato dal Barbican Centre in questa.
Era dal 2006 – dalla straordinaria edizione Compagnia della Rancia con regia di Fabrizio Angelini – che non lo vedevo a teatro. Avevo grandi aspettative e non sono rimasto deluso.
Come si porta in scena uno spettacolo quasi mitologico come Jesus Christ Superstar? Come si trova un nuovo punto di vista per raccontare una storia conosciuta da tutti? Per questa produzione il regista Timothy Sheader ha scelto di premere fino in fondo l’acceleratore delle emozioni. Ovvio? Non necessariamente: le musiche e le liriche sono talmente potenti che mantengono comunque in piedi lo spettacolo.
Cosa fare allora? Stravolgere per cercare la novità ad ogni costo oppure complementare con qualcosa di innovativo ma coerente? Ovviamente la scelta è stata la seconda e il punto fermo della produzione sono stati dei microfoni a gelato.

Jesus Christ Superstar è come un concerto rock con solisti che raramente si accavallano e un coro di accompagnamento. Il microfono – molto spesso uno solo da scambiarsi – diventa uno strumento di potere, un elemento scenico che decide chi ha diritto a dire la propria e chi no. E’ quasi come il possesso di palla nel calcio: chi fra Jesus e Judas mantiene la percentuale più alta?
Ci sono poi gli antagonisti come Caiaphas e Annas ma loro sono dalla parte dei vincenti e quindi hanno diritto ad un microfono a testa. Pilate e Herod possono poi avere quello che vogliono.
C’é però un personaggio che non interagisce mai, eppure è un burattinaio onnipresente e senza scrupoli: Dio, talmente potente e distaccato da non aver neanche bisogno del microfono: tutto quello che ascoltiamo è, in fondo, opera sua.
Quest’ultimo punto viene straordinariamente reso palpabile in uno dei frammenti più struggenti dello spettacolo: Gethsemane. Il brano è diviso in due parti. Nella prima Jesus sembra veramente una stella del rock in pieno concerto. Da solo, con una chitarra e un microfono sull’asta. Sembra intonare una canzone scritta da un altro, un successo che lo ha oramai annoiato ma che tutti si aspettano. Arranca senza anima fino a metà, quando prende in mano il microfono e finalmente canta con la propria voce. Chiede con disperazione che il padre gli spieghi il perché (You’re far too keen on where and how but not so hot on why) e alla fine (Bleed me, beat me, kill me / Take me now / Before I change my mind) prende il microfono, lo tiene nel palmo aperto della mano e la alza verso il cielo. Vuole che finalmente Dio si prenda le sue responsabilità. Il totale silenzio dal cielo è più di quanto l’animo possa reggere.

A questo punto ero quasi in stato di shock. Ma ovviamente non era ancora finita. Mancavano le frustate (fatte da manciate di glitter dorato, per metterlo ancora più in mostra), la crocifissione e quel momento esaltante ma assurdo che è Superstar. Un Jesus sempre più attonito che viene esaltato ma anche deriso. Una figura celebrata in quanto strumento (poco più di un oggetto) di una volontà esterna interessata solo a vincere.
Quando infine il corpo martoriato di Jesus viene calato dalla croce ha finalmente diritto ad un istante di contatto umano. Qualcuno che lo accoglie nelle proprie braccia come fosse un bambino. Ma in pochi instanti che non bastano a trasmettere umanità viene portato fuori come un oggetto che è servito al suo scopo ma non ha più utilità perché la vittoria è da un’altra parte.

La fine mi ha colpito come un treno in corsa. Non ho neanche pianto, ero succube di un tormento di emozioni. Ci sono volute ore prima che mi riprendessi del tutto.
Col senno di poi ho potuto ripensare ad altri due frangenti dove il microfono è stato usato in maniera egregia. In Peter’s Denial, Peter si ritrova in mano il microfono suo malgrado. Lo sguardo di terrore quando lo nota mostra la sua reticenza nel parlare.
In Judas’s Death il microfono ha un lunghissimo cavo rosso che Judas lega ad un albero per poi lanciarlo in aria. Ricadendo il microfono segue un arco fino a rimanere penzoloni per poi ondeggiare come un impiccato.
Come sempre a Londra tutto il cast è stato eccezionale. Menzione d’onore a Ricardo Afonso (Judas) per la sua sensualità e la voce da orgasmo multiplo.

Solo a ripensarci mi viene la pelle d’oca… straordinario.