The Boys in the Band

Questo post ha avuto una gestazione molto lunga, da fine Giugno 2019 ad oggi. Non conoscevo questo testo teatrale ma ho voluto vederne una rappresentazione speciale al PAC di Milano in occasione della Pride Week. Ne sono rimasto folgorato e così a Febbraio 2020 sono tornato a vederlo al Teatro Nuovo. Infine ho letto il testo teatrale e visto la versione cinematografica del 1970 oltre a quella Netflix uscita a fine Settembre.

Lo spettacolo di Matt Crowley ha debuttato Off-Broadway nel 1968. Questa data è molto importante perché è stato prima dei moti di Stonewall, sembra incredibile! Lo spettacolo è stato definito il primo testo che ha raccontato l’omosessualità senza vergogna e senza giudizio. Lo ha fatto in modo crudo ma anche molto veritiero. Siamo prima della tragedia dell’AIDS e il centro dell’attenzione è la comunità gay raccontata attraverso un gruppo di 7 amici ai quali si aggiunge una marchetta e un vecchio amico eterosessuale.

Durante l’atto unico si parla di coppia, di sesso, di amicizia, di vergogna, di orgoglio, di razzismo, di coming-out e di tanto altro. E’ uno spettacolo che non da respiro e smuove risate ma anche emozioni profonde. I personaggi sono complessi da soli e ancor di più nelle loro interazioni. E’ uno spettacolo che non indora la pillola e fa riflettere soprattutto noi gay.

Il razzismo da parte della comunità etero è poco raccontato ma se ne vedono molto le conseguenze. C’é molta rabbia repressa, convinzione di essere superiori perché sopravvissuti e incapacità di accettare che altri possano aver sofferto.

Piano piano che lo spettacolo procede è sempre più difficile accettare i protagonisti perché riflettono sempre più le nostre debolezze e cattiverie e così nasce un senso di repulsione. Il personaggio acido e supponente fa inizialmente sorridere ma quando inizia a bere diventa letale e mostra tutta la sua crudeltà. La coppia aperta dimostra che il loro accordo sessuale libertino è sfociato in sbilanciamento e menefreghismo. Gli amici scherniti da tutti finiscono per non rispettarsi neanche tra di loro. Il bello senz’anima sembra essere pacato e premuroso ma si rivela veramente senz’anima.

Verso la fine dello spettacolo quasi tutti i personaggi recuperano e ai saluti finali si è in parte fatto la pace con loro. Resta però l’amaro in bocca ed è giusto che ci sia. Questo testo è una critica a tante cose ma soprattutto ai nostri comportamenti e alla nostra comunità. Mostrandoci il brutto ci sprona a migliorarci e se per qualche personaggio non c’é redenzione magari per noi ci potrà essere.

Entrambe le versioni cinematografiche sono degne di nota. Certo, quella Netflix è dirompente. Jim Parsons nel ruolo di Michael è semplicemente sublime e perfetto ad ogni minuscolo movimento. Zachary Quinto come Harold è bravo ma mi sarei aspettato qualcosa di più.

In tutte le rappresentazioni Donald è mozzafiato e mostra sempre qualcosa di intimo. Certamente è uno specchietto per attrarre allodole gay ma il suo personaggio non è solo quello e quindi va benissimo così.

E’ un testo da leggere, rileggere, vedere e rivedere. Lo metto di diritto negli spettacoli obbligatori per una cultura gay che non sia solo divertimento o tragedia.

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